Psicoterapia

FREUD: L’ANGOSCIA

“L’angoscia ha un’innegabile connessione con l’attesa: è angoscia prima di e dinanzi a qualche cosa. Possiede un carattere di indeterminatezza e di mancanza d’ oggetto; nel parlare comune, quando essa ha trovato un oggetto, le si cambia nome, sostituendolo con quello di paura.

Il pericolo reale è un pericolo che conosciamo, l’angoscia reale è angoscia di fronte a questo pericolo. L’angoscia nevrotica è angoscia di fronte a un pericolo che non conosciamo. Il pericolo nevrotico è dunque un pericolo ancora da scoprire; l’analisi ci ha insegnato che esso è un pericolo pulsionale. Portando alla coscienza questo pericolo sconosciuto all’Io, noi annulliamo la differenza tra angoscia reale e angoscia nevrotica, e possiamo trattare quest’ultima alla stessa stregua della prima.

Vi sono casi in cui i caratteri dell’angoscia reale e dell’angoscia nevrotica appaiono commisti. Il pericolo è conosciuto e reale, ma l’angoscia di fronte ad esso è smisuratamente grande, più grande di come, a nostro giudizio, dovrebbe essere. In questo sovrappiù si tradisce l’elemento nevrotico. Questi casi non introducono però alcun elemento di principio nuovo. L’analisi mostra che al pericolo reale conosciuto si riallaccia un pericolo pulsionale sconosciuto.. ”

Freud chiarisce molto bene il concetto di pericolo e lo vede rappresentato nel sentimento d’impotenza che scaturisce dal rapporto tra le nostre forze le nostre risorse e l’entità della minaccia.

Freud chiama traumatica una situazione che viene vissuta con un sentimento d’impotenza.

Il segnale di angoscia ha come scopo la nostra autoconservazione: “…è ora un progresso importante nella nostra autoconservazione se una tale situazione traumatica d’impotenza non è solo vagamente attesa, ma prevista ed aspettata sapendo di che si tratta… Ciò significa: io mi aspetto che si verifichi una situazione d’impotenza; oppure: la situazione presente mi ricorda una delle esperienze traumatiche precedentemente vissute. Perciò io anticipo questo trauma e mi comporto come se esso fosse già presente, fintantoché c’è ancora tempo di respingerlo. L’angoscia è dunque da un lato aspettazione del trauma, dall’altro ripetizione attenuata di esso. I due caratteri che ci hanno colpito a proposito dell’angoscia scaturiscono dunque da fonti diverse. La relazione dell’angoscia con l’attesa appartiene alla situazione di pericolo, la sua indeterminatezza e mancanza d’oggetto appartengono alla situazione traumatica d’impotenza, situazione che viene anticipata nella situazione di pericolo”. Freud afferma che nei bambini, essendo oggettivamente impotenti, il sentimento d’impotenza viene sperimentato con il pericolo della perdita dell’oggetto-genitore, quale protezione contro tutte le situazioni d’impotenza. Di conseguenza la perdita dell’oggetto viene innalzato al di sopra di tutti gli altri pericoli.

SIGMUD FREUD OPERE 1924-1929 “Inibizione, Sintomo e Angoscia e altri scritti”. vol. decimo Boringhieri

IL TRAUMA

Il termine trauma deriva dal greco e vuol dire lacerazione.

Possiamo sinteticamente definire il trauma psichico “una lacerazione improvvisa, violenta ed imprevedibile dell’integrità psichica, capace di provocare un’alterazione permanente delle capacità di adattamento del soggetto”.

Nella concezione psicoanalitica classica, il trauma è un evento improvviso ed inatteso, che per la particolare intensità, oltrepassa la capacità di elaborazione psichica dell’Io ed ha effetti patogeni durevoli sull’organizzazione psichica.

Una fase importante nell’evoluzione del concetto di trauma è costituita dallo studio dei disturbi conseguenti ad uno shock. Infatti Freud afferma che: “…in seguito a gravi scosse meccaniche, scontri ferroviari ed altri incidenti che implicano un pericolo mortale si può verificare una situazione che è già stata descritta da tempo e a cui è stato dato il nome di nevrosi traumatica” (Freud, 1977)

Ciò che determina il disturbo, oltre all’intensità della stimolazione esterna, è la sua capacità di provocare una breccia nella barriera protettiva: “…negli eventi che portano alla nevrosi traumatica viene infranta la protezione esterna contro gli stimoli e le quantità eccessive di eccitamento invadono l’apparato psichico, cosicché (l’angoscia viene) prodotta ex novo dalle condizioni economiche della situazione” (Freud, 1978).

Ognuno sa che dovrà morire, disse Freud, ma nessuno ci crede veramente, il che significa che non ci sono nell’inconscio rappresentazioni di sè come morti (viviamo tutti come se fossimo immortali). Ed è proprio questa rappresentazione che si è imposta nell’istante del traumatismo.

Freud definì come traumi: “Eventi in grado di provocare una eccitazione psichica tale da superare la capacità del soggetto di sostenerla o elaborarla”; da un punto di vista psicoanalitico causerebbero angoscia, paure generalizzate e dunque apparentemente immotivate e destabilizzanti, nonché ripiegamento e chiusura emotiva, fino ad arrivare a vissuti di rovina e morte. L’Io, per difendersi dall’attacco dell’angoscia, potrebbe attivare i meccanismi difensivi, nello specifico la rimozione, determinando però inevitabilmente sintomi nevrotici, che andrebbero poi a configurarsi come un vero e proprio disturbo dell’Io e della personalità.

La questione del terrore mortale.

(dall’ International Forum of Psychoanalysis, 12:17-21, 2003 traduzione italiana di Carlo Bonomi)

Freud condivideva l’opinione comune che la nevrosi traumatica insorgesse a seguito di un “pericolo mortale”. Giunse alla conclusione che l’unico modo di dar significato alla morte era di rappresentarla come una castrazione. Nell’inconscio, egli disse: “Non è presente nulla che possa dare un contenuto al nostro concetto di annientamento della vita… nulla di simile alla morte è stato mai provato . Perciò io mi mantengo fedele all’ipotesi che l’angoscia di morte debba considerarsi come un che di analogo all’angoscia di evirazione” (Freud, 1926, p. 278). Non la morte ma l’evirazione divenne il prototipo del trauma nell’ultima teoria di Freud.

Il contributo di Ferenczi

In una lettera indirizzata a Freud egli scrisse che quando si rinuncia al tentativo di resistere alle forze traumatiche, il risultato “potrebbe essere descritto o rappresentato come un essere parzialmente morto” (Ferenczi, 1920/1930-33). Egli disse che uno “shock ” corrispondeva all’ “annientamento della capacità di opporre resistenza e di agire e pensare in difesa del proprio Sé”.

È da notare che questa definizione non è altro che una traduzione fenomenologica dell’idea di Freud, di una breccia nella barriera protettiva, ossia una descrizione di ciò che nel corso dello shock viene esperito dall’Io. La breccia nella barriera, vi era rappresentata non come un buco ma come uno smaterializzarsi nel corso dell’esplosione del tempo e dello spazio, come un perdere la caratteristica di essere un “solido” con il dissolversi delle categorie di tempo e di spazio che servono per mantenere i confini dell’Io. Un tale dissolversi veniva descritto come un turbine, una “paurosa sensazione di vertigine” attraverso cui l’Io lascia il corpo, o ancora come una agonia infinita nella quale ogni tentativo di resistere è abbandonato come senza speranza e l’inevitabilità della morte viene riconosciuta e accettata. Il risultato è che l’Io diventa totalmente insensibile al punto che è posto in una condizione di non esistenza che può essere descritta come un essere morto.

Perché il superamento di un trauma è così difficile?

Gli psicotraumatologi contemporanei cercano di spiegare questa caratteristica clinica localizzando le conseguenze del trauma in archivi speciali che servono ad immagazzinare le esperienze corporee: “the body keeps the score” (il corpo tiene i conti) come viene detto nel titolo di un articolo famoso (Van der Kolk, 1994). Quello che si dice è che l’evento traumatico non viene elaborato in forma simbolico/linguistica, come avviene per la maggior parte dei ricordi, in quanto “esso tende ad essere organizzato su un livello sensomotorio o iconico – come immagini orribili, sensazioni viscerali, o reazioni di attacco/fuga” (Greenberg,Van der Kolk, 1987, p. 193).

L’esperienza traumatica distrugge la prevedibilità del mondo in cui siamo abituati a vivere, così come le nostre credenze più indiscusse, incluse le credenze sulla vita e sulla morte, il Sé e gli Altri, in modi che impediscono una mera ricostruzione di ciò che è stato distrutto. Il trauma forza nella vittima una vasta trasformazione della mente e riorganizzazione concettuale del mondo.

L’ANSIA

L’ansia va distinta dalla paura vera e propria che si manifesta in risposta ad una minaccia reale e conosciuta, mentre l’ansia va considerata come una paura non giustificata che si manifesta in risposta ad una minaccia che è sconosciuta ed interna. La presenza di un leone in una stanza giustifica la paura, l’ansia che si prova a rimanere in una stanza solo perché la porta è chiusa a chiave è una risposta ad una minaccia interna.

In breve è quella sensazione psicofisica che avvertiamo quando siamo minacciati da qualcosa o immaginiamo che nel nostro futuro immediato stia per accadere ciò che temiamo.

Esistono svariati termini per nominarla: apprensione, inquietudine, preoccupazione, presentimento, presagio, timore, tormento, eccitazione, tensione, paura, trepidazione, terrore, spavento.

La sperimentiamo tutti se dobbiamo sostenere un esame, fare una scelta difficile, dover affrontare una grave malattia.

La soffriamo anche fisicamente: il cuore batte all’impazzata, lo stomaco è irritato, i muscoli si tendono.

E’ anche positiva: ci spinge ad agire rapidamente in caso di pericolo, ci tiene in allarme nelle situazioni difficili, può migliorare le prestazioni, combatte l’apatia e la tendenza a ritirarsi.

I momenti di passaggio determinano ansia: ingresso a scuola, adolescenza, lavoro, matrimonio, figli.

L’ansia normale si distingue dall’ansia patologica solo per la quantità e non per la qualità:

– ognuno di noi si sente più protetto in casa, ma se proviamo dell’ansia paralizzante alla sola idea di uscire di casa allora c’è qualcosa che non funziona;

– la vista del sangue è certamente sgradevole, ma svenire è una reazione eccessiva

– un leggero timore quando un figlio esce di casa è normale, cercare di impedirlo per la propria paura è preoccupante

– il timore per una interrogazione è positivo, iniziare a balbettare, tremare, vomitare o altro è segno di un profondo disagio;

Come si vede qualsiasi comportamento può muoversi lungo un continuum cha va dalla normalità alla patologia più disturbante.

L’ANSIA MASCHERATA

Lavorare molto, fare attività fisica in modo estenuante, dormire troppo, arrabbiarsi, partire e temere di aver dimenticato qualcosa, controllare il rubinetto del gas.

In questi casi spostiamo la nostra preoccupazione su altre cose e nascondiamo a noi stessi il vero motivo dell’ansia.

COME SI MANIFESTA

Sintomi somatici.

Forte tensione muscolare, tremori, sudorazioni eccessive, palpitazioni, oppressione al petto, mancanza di respiro.

Sintomi psicologici

Stato di allarme, diminuzione dell’attenzione e della concentrazione, irrequietezza irritabilità, difficoltà di relazione, peggioramento della capacità di amare, calo degli interessi sessuali.

Manifestazioni indirette

Per difendersi dall’ansia la si può convertire tramutandola in qualcosa di diverso.

Conversioni somatiche: somatizzazioni, stanchezza, disturbi psicosomatici.

Conversioni psicologiche: fobie, ossessioni, depressioni.

Lo stress in sostanza è la prima sollecitazione che l’organismo subisce quando vi è un cambiamento nell’equilibrio tra organismo e ambiente. L’ansia è una sua possibile conseguenza.

LO STRESS

Lo stress in sostanza è la prima sollecitazione che l’organismo subisce quando vi è un cambiamento nell’equilibrio tra organismo e ambiente. L’ansia è una sua possibile conseguenza.

Per capire cos’è lo stress bisogna partire dal concetto di adattamento.

L’adattamento è la risposta che l’individuo nella sua totalità adotta quando deve affrontare una novità, sia piacevole che spiacevole. Vincere alla lotteria o essere licenziati richiedono comunque un adattamento.

Quindi lo stress si manifesta quando l’organismo deve rispondere a qualsiasi stimolo del mondo esterno e questa risposta consiste in un adattamento del comportamento e in un’attivazione dei sistemi biologici (psico-neuro-endocrini) che permettono di affrontare e risolvere la situazione in modo tale da evitare possibili conseguenze negative e permettere di sviluppare forme di adattamento nel caso non sia possibile risolvere la situazione.

E’ in definitiva uno sforzo adattativo ad una situazione che cambia.

Il comportamento umano è la conseguenza di uno stato di bisogno e viene attuato per eliminare lo stato di tensione che ogni bisogno determina. Il tutto avviene attraverso lo schema: rilassamento, tensione-allarme, reazione alla situazione di allarme per ritornare al rilassamento.

Possiamo immaginare un guardiano all’interno del nostro cervello che fa scattare l’allarme quando qualcosa che non conosciamo potrebbe rappresentare un pericolo. Quando scatta l’allarme il nostro organismo, attraverso una scarica di ormoni predisposti, fornisce altra energia per far fronte alla minaccia.

Continuando con l’esempio del guardiano ci spieghiamo perché soggetti diversi reagiscono diversamente se sottoposti alla stessa situazione.

Ciò avviene perché ogni individuo è influenzato in modo diverso dai propri pensieri interiori, dalle proprie credenze. Un soggetto si comporta come un militare che fa la guardia in tempo di guerra ed un altro che svolge lo stesso compito in tempi di pace: il primo chiaramente reagirà in modo eccessivo e sarà vittima del distress perché gravato dai propri stimoli stressanti interni.

Eustress (eu = buono): matrimonio, riconciliazione, promozione.

Distress (dis = negativo): morte di un parente, divorzio, malattia.

In tutti questi casi lo stress è dato dal non riuscire a pensare ad altro.

Lo stress non è né negativo né positivo, in realtà è necessario se in dosi giuste, nocivo se eccessivo.

Stress acuto: quando gli eventi stressanti si presentano in modo acuto e la risposta dell’organismo si gioca ed esaurisce nel giro di pochi minuti o ore (ad esempio una notizia luttuosa).

Stress cronico: quando gli eventi stressanti si protraggono per giorni, settimane, mesi e la risposta dell’organismo deve essere mantenuta per tutto quel tempo (ad esempio un rapporto di lavoro problematico).

Se lo stress diventa cronico anche la risposta ormonale di adattamento diventa cronica.

LE CONSEGUENZE SULLA SALUTE

Manifestazioni emotive: tensione, ansia situazionale e anticipatoria, depressione, irritabilità/insofferenza, facilità al pianto, vissuti di impotenza, insicurezza, caduta motivazionale, disinteresse.

Disfunzioni cognitive: scarsa concentrazione, difficoltà di memorizzazione, difficoltà ad apprendere cose nuove, facilità a dimenticare, senso di confusione, incertezza decisionale, polarizzazione ideativa.

Comportamenti disfunzionali: abuso di alcolici, tabagismo, abuso di sostanze tranquillanti, stimolanti, stupefacenti, isolamento sociale, reazioni aggressive auto o eterodirette.

Comportamenti sintomatici indicativi di stress: atteggiamenti di “fuga” dal lavoro, decremento della performance, difficoltà nelle relazioni interpersonali, comportamenti antisociali.

Manifestazioni fisiologiche: disturbi del sonno: sia come difficoltà ad addormentarsi sia come risvegli precoci, risvegli frequenti; disturbi cardiovascolari: tachicardia palpitazioni, extrasistole, ipertensione arteriosa; dispnea, cefalea, aumento della glicemia, parestesie, tic nervosi, tremori transitori; modificazioni fisiologiche: escrezione di catecolamine, aumento della pressione arteriosa.

Manifestazioni psicopatologiche: disturbo depressivo, fobie, disturbi dell’adattamento, disturbi da panico.

DISTURBI PSICOSOMATICI

L’OMS propone una definizione di salute intesa come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente come assenza di malattia o d’infermità.

L’OMS, inoltre, si pone nell’ottica “della promozione di uno stile di vita” capace di condurre al più alto livello sanitario tutte le popolazioni aggiungendo che “l’ammissione di tutti i popoli ai benefici delle conoscenze acquisite dalle scienze mediche, psicologiche e correlate, è essenziale per raggiungere il più alto livello di salute”.

L’etimologia di psicosomatico deriva dal greco psiche “anima” e soma “corpo”.

I disturbi psicosomatici sono quindi dei malesseri della psiche che si riflettono sul “soma”, ovvero sul corpo.

La Psicosomatica studia la relazione e le interazioni tra la psiche e il corpo, cerca di capire l’influenza che la mente e le emozioni esercitano sul corpo e le sue malattie, di individuare la connessione tra un disturbo somatico e la sua eziologia spesso di natura psicologica.

Il suo presupposto è che l’uomo sia una unità psicofisica inscindibile, ciò comporta che le malattie siano:

– somatopsichiche: a malattie somatiche si accompagnano disturbi psichici, basti pensare a diabete, cancro, HIV, patologie cardiovascolari, emicranie, in questi casi è stata dimostrata un’alta incidenza di disturbi quali ansia e depressione;

– psicosomatiche: si pensi alle manifestazioni fisica dello stress quali: insonnia, tensione e contratture muscolari, mal di testa, mal di stomaco, nausea, vomito, vertigini, esacerbazione di infiammazioni cutanee (psoriasi, herpes, etc.)

Una malattia o una disfunzione spesso porta ad una distorsione dell’immagine corporea che si fa sentire anche nella sfera affettiva. L’attenzione per il corpo da parte della psicologia è presente, sin dagli esordi della psicoanalitica. Freud in l’Io e l’Es (1922), sostenne che “l’Io è anzitutto un’entità corporea, non è soltanto un’entità superficiale, ma è anche la proiezione di una superficie”.

Le malattie sono messaggi, simboli che il nostro inconscio ci manda per segnalarci un disagio interiore, un conflitto psichico non risolto, che spesso risale all’infanzia.

Generalmente ciò accade quando una persona non percepisce rabbia, frustrazione o stress davanti a una difficile condizione di vita lavorativa o familiare ed il corpo, come tentativo di difesa, manda degli avvisi più concreti tramite disturbi fisici.

In questi casi quindi la malattia è un modo per scaricare l’ansia. Di solito il paziente psicosomatico ha un buon adattamento alla realtà e non manifesta intense emozioni.

Gli interventi psicologici effettuati in ambito psicosomatico si propongono di risolvere la sofferenza psicologica e di migliorare l’adattamento alla malattia, di consolidare i comportamenti rivolti alla salute. Sono interventi centrati più sul malato che sulla malattia per cui si tenta di curare il singolo individuo in sè anziché la malattia: l’ulcera, l’infarto, la colite.

Negli ultimi anni, anche in seguito allo sviluppo delle biotecnologie, la ricerca in psicosomatica sta avendo significativi sviluppi soprattutto da parte della psiconeuroendicrinoimmunologia che ha lo scopo di verificare le relazioni tra psiche, secrezione di neurotrasmettitori e ormoni, e sistema immunitario.

I sintomi psicosomatici coinvolgono il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress.

L’ipocondria e il Disturbo di somatizzazione sono i disturbi psicosomatici più comuni.

Gli altri disturbi possono interessare:

l’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale);

l’apparato gastrointestinale (gastrite, colite ulcerosa, ulcera peptica);

l’apparato respiratorio (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria);

l’apparato urogenitale (dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi);

il sistema cutaneo (la psoriasi, l’acne, la dermatite, il prurito, l’orticaria, la secchezza della cute e delle mucose, l’iperidrosi, la sudorazione profusa);

il sistema muscoloscheletrico (la cefalea muscolotensiva-tensiva, i crampi muscolari, il torcicollo, la mialgia, l’artrite).

TRAINING AUTOGENO – TRAINING AUTOGENO ANALITICO

(tecniche di gestione dell’ansia e dello stress)

Si parla di gestire l’ansia e lo stress non di eliminarli completamente, proprio perché sono caratteristiche della vita.

Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento usata in ambito clinico nel controllo dello stress, nella gestione delle emozioni e nelle patologie con base psicosomatica. Nasce agli inizi del ‘900, grazie agli studi dello psichiatra tedesco Johannes H.Schultz. A partire dalle tecniche ipnotiche ed in particolare dalle ricerche sul sonno di Oskar Vogt, Schultz mise a punto una tecnica che, a differenza delle precedenti metodiche, attribuiva al soggetto-paziente un ruolo molto più attivo ed indipendente dal terapeuta nel raggiungimento dello stato di rilassamento.

Come scrive Crosa: “training significa allenamento, cioè apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione passiva, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza”. (G. Crosa)

Autogeno significa che “si genera da sé”, ciò differenzia questo metodo dalle tecniche autoipnotiche ed eteroipnotiche le cui realizzazioni somatopsichiche sono attivamente indotte dal soggetto o dal terapeuta.

“In realtà il Training è per lo più correlato alla realtà somatica, cioè alla riarmonizzazione delle funzioni organiche e viscerali, alla messa a riposo del sistema neurovegetativo, alla realizzazione di uno stato di calma, di distensione e di benessere sempre più generalizzati ed intensi a mano a mano che l’addestrando prosegue nell’allenamento. Training Autogeno è, per i più, sinonimo di rilassamento, smorzamento della risonanza emotiva, sonno profondo e ristoratore, recupero delle energie psicofisiche, potenziamento della capacità attentiva e della memoria, ecc.; in poche parole: strumento elettivo contro lo stress. Tutto questo è senza alcun dubbio vero, ma se la tecnica di Schultz è più conosciuta tra il grosso pubblico per gli esercizi somatici, non è meno vero che ridurla solo a questi significherebbe limitarne la portata terapeutica e svilirne il contenuto più originale ed autentico. Purtroppo anche da parte di sedicenti “esperti” del metodo, tutto viene, di norma, ristretto all’apprendimento degli esercizi cosiddetti di base (pesantezza e calore) con l’eventuale aggiunta del respiro (L. Peresson).

Il Training Autogeno è una tecnica strutturata in sei esercizi standard, due di base: pesantezza e calore e quattro complementari: cuore, respiro, plesso solare, fronte fresca.

Ogni esercizio deve essere rappresentato mentalmente attraverso una formula che il soggetto deve imparare a vivere in una stato di assoluta passività.

Il Professor Peresson, afferma: ” La “Concentrazione Passiva” su ciascuna delle sei formule, produce una serie di mutamenti fisiologici che non sono limitati al semplice tema funzionale della formula data (ad es. la pesantezza), ma interessano l’organismo nella sua totalità, nel senso che è possibile avvertire in esso modificazioni interessanti i vari sistemi fisiologici quali la respirazione, la circolazione, l’attività neuromuscolare e così via.”

Durante l’allenamento del Training Autogeno si attraversano vari stadi:

– Stadio “R” o della reazione riflessa dove il soggetto per il semplice fatto di assumere una particolare posizione del corpo, realizza in modo riflesso, alcuni mutamenti psicofisiologici: ipotonicità muscolare, sensazione di pesantezza, iperemia vasale periferica.

– Stadio “C.P.” o della concentrazione passiva. E’ un traguardo cui si arriva dopo un certo periodo di allenamento variabile da soggetto a soggetto. E’ caratterizzato dal fatto che chi pratica il T.A. riesce a mantenere con continuità la concentrazione passiva sulle sei formule standard. Si arriva: alla ripetizione spontanea delle formule standard, al mantenimento della relazione formula-zona topografica corrispondente, all’automatico passaggio da una formula all’altra. Per meglio comprenderla possiamo confrontarla con la “concentrazione attiva” che è un atto volontario, la “concentrazione passiva” è invece caratterizzata dalla non-volontarietà.

– Stadio “N” o della neutralità mentale. Questa fase viene in genere descritta in termini di “mente tranquilla e vuota”. In pratica in questa fase, non c’è più alcuna interferenza dell’attività mentale diretta dal soggetto.

– Stadio “D” o della disintegrazione funzionale. In questa fase si ha un indebolimento funzionale tra le funzioni mentali dirette dal soggetto e quelle riflesse acquisite nello stadio “C.P.”. E’ in questa fase che si verificano le “scariche autogene” cioè percezioni di varia natura fisiologiche e/o psichiche.

– Stadio “A.P.” o dell’accettazione passiva. In questa fase il soggetto è in grado di sospendere la ripetizione delle formule e rimane uno spettatore passivo delle elaborazioni dirette dai suoi meccanismi cerebrali rimanendo consapevole di quanto avviene tanto da potersi richiamare le formule standard.

– Stadio “A” o del riordino. E’ la fase conclusiva, quella in cui il soggetto riprende il controllo della sua situazione psicofisiologica.

È importante avere una guida esperta nell’apprendere il T.A., è sconsigliato approcciarsi al T.A. da autodidatti.

APPLICAZIONI

Psicosomatica

Forte tensione muscolare, tremori, tic, bruxisismo, sudorazioni eccessive, tachicardia, palpitazioni, extrasistole, ipertensione arteriosa, oppressione al petto, mancanza di respiro, Asma, anoressia, bulimia, gastrite, colon irritabile, stipsi, cefalea vasomotoria e muscolo-tensiva, eczemi, acne, herpes.

Disturbi del sonno

Difficoltà ad addormentarsi, risvegli precoci, risvegli frequenti, ipersonnia.

Disturbi della Sessualità

Amenorrea, dismenorrea, disturbo del desiderio, mancata erezione, eiaculazione precoce, impotenza secondaria, frigidità, vaginismo, orgasmo inibito.

Disturbi d’ansia

Stato di allarme, diminuzione dell’attenzione e della concentrazione, irrequietezza irritabilità, difficoltà di relazione, fobia sociale, attacchi di panico, fobie.

Riabilitazione neuropsicologica

Nella malattia di Parkinson e nella sclerosi multipla si è mostrato utile per ridurre l’ipereccitabilità e l’ansia legata alle conseguenze della malattia.

Migliora la percezione dello schema corporeo tanto da trovare applicazione anche nell’illusione dell’arto fantasma conseguente ad una amputazione

Preparazione psicofisica al parto

Medicina dello Sport

Ha un ruolo significativo per atleti e sportivi in genere in quanto favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni, consente di gestire l’ansia preagonistica.

Ambito scolastico

Disfunzioni cognitive: scarsa concentrazione, difficoltà di memorizzazione, difficoltà di apprendimento, senso di confusione, incertezza decisionale.

DAL TRAINING AUTOGENO SOMATICO AL TRAINING AUTOGENO SUPERIORE ANALITICAMENTE ORIENTATO

Ci si limita al solo Training di base quando il paziente non presenta una sintomatologia complessa e sostenuta da conflittualità profonde. Si passa al Training Superiore in quei casi in cui si rende necessaria un’analisi più completa della conflittualità profonda del paziente.

Per praticare gli esercizi del ciclo superiore del training autogeno è necessario aver assimilato gli esercizi del ciclo inferiore: si deve essere in grado di raggiungere facilmente e rapidamente la commutazione alla condizione di passività.

Il fine degli esercizi del ciclo superiore è quello di lasciar affiorare alla coscienza contenuti inconsci dalla psiche per eliminare conflitti, blocchi emotivi, vissuti traumatici, rendere più forte e consapevole l’Io: le finalità sono analoghe a percorso psicanalitico, che Schultz ben conosceva.